|
Centro
Mauro Bolognini
lirica |
|
 |
|
|
Sul talento drammatico
(intervista a Mauro Bolognini da
Umberto Bonafini, "Perché sono Renata Scotto", Mantova,1976) |
-
Sul talento drammatico di
Renata Scotto ho voluto ascoltare due tra i più qualificati registi che
hanno firmato importanti spettacoli interpretati da Renata Scotto.
Mauro Bolognini e Raf Vallone hanno guidato Renata Scotto nelle edizioni
de “La straniera” di Bellini e “La Traviata di Verdi, e “Norma“ di
Bellini. Il primo la diresse al “Massimo “ di Palermo e all’Arena di
Verona; il secondo al “Regio “ di Torino.
Nelle due opere belliniane la cantante debuttava, quindi il lavoro di
scavo all’interno del personaggio è risultato infinitamente più
difficile che in Traviata, anche se, come mi ha spiegato Bolognini, si
trattava di dar vita ad un personaggio concepito in senso
“retrospettivo”. Raf Vallone poi, dal canto suo, debuttava sia in
“Norma” che nel teatro lirico in particolare.
Ho incontrato per primo Mauro Bolognini che ha risposto alle mie domande
nella sua splendida abitazione di Piazza di Spagna, a Roma.
D.: Maestro : lei con la signora Scotto ha firmato due regie : “La
Straniera “ e “ La Traviata “ .
La prima come inaugurazione a Palermo nel 1969 e la seconda a Verona in
occasione dell’ultima stagione allestita da Gianfranco De Bosio e Mario
Medici. Vero?
Bolognini : Sì. Anche se ci incontrammo con la signora durante l’estate
del 1968 per cominciare a discutere sulla realizzazione di “Straniera”.
Ricordo che questo incontro avvenne ancora a Verona dove la signora
cantava “Lucia” mi pare .
D.: Mi pare interessante sottolineare questa coincidenza di date : 1969
“Straniera” a Palermo, estate del ’70 “Traviata” a Verona e dicembre
dello stesso anno “Vespri” alla Scala. Un vero e proprio ciclo che ha
sancito il definitivo passaggio della Scotto al genere drammatico. Ne
conviene?
Bolognini : Infatti. Ho imparato, conoscendola, che la Scotto non ha mai
fatto nulla a caso. Se devo essere sincero il mio ricordo è maggiormente
vivo per “ Traviata". E’ un ricordo che continua tuttora nel senso che
creammo uno spettacolo che fece molto parlare la critica. Certi
commentatori scrissero in modo entusiasta della realizzazione, altri ci
stroncarono. Fu insomma una produzione che fece discutere.
D. : Io comunque vorrei chiederle questo : Bellini -Verdi : quali
problemi le creò Renata Scotto?
Bolognini : Difficoltà? Direi nessuna. Renata Scotto è una cantante che
ha il raro pregio di rendere tutto chiaro e semplice. Non cerca delle
menzogne sul palcoscenico. Tutto questo mi ha impressionato. Quando ho
sentito le prime volte “La Straniera” sul palcoscenico ho riscoperto
l’opera. Io la conoscevo solo superficialmente. Il maestro Arena me
l’aveva suonata tutta al pianoforte e mi chiedevo: come farà Renata a
superare questo passo, a risolvere questa scena? Poi alle prove
ritrovavo quel momento e vedevo come Renata lo rendeva semplice e chiaro
grazie a questo suo senso musicale per cui l’interpretazione usciva
costantemente coordinata con la musica, letta musicalmente. Quando, per
deformazione professionale, mi sono trovato a chiedere un gesto o un
movimento, una sottolineatura del libretto, Renata, per amicizia, non
rifiutava mai.
Però, se quello che io chiedevo non si rivelava musicale, Renata sapeva
convincermi della inopportunità di quello che le avevo chiesto. Renata
aveva bisogno di risolvere tutto nella musica. Ed aveva ragione perché
allora il gesto diventava musicale, la sottolineatura, che a me sembrava
non abbastanza accentuata dalla musica, veniva invece da lei esposta
nella musica come a dirmi e a convincermi che nella musica era già
scritto e detto tutto. Infatti tutto diventava semplice perché in quelle
note era scritto veramente tutto.
In Renata succede questo miracolo: legge la musica teatralmente, per cui
alle volte quando chiedevo una cosa mi convincevo che si poteva
chiedergliela se trovava ragione nella musica. In “Traviata”, ad
esempio, di fronte a certe soluzioni che le proponevo mi chiedevo:
riuscirà? Se ciò che le chiedevo era musicale Renata riusciva a farlo,
nel modo più semplice e razionale.
D.: Vorrei che mi parlasse di quell’idea di “ Traviata”, importante “
Traviata”.
Bolognini : L’idea di fare una “Traviata” che fosse un lungo monologo
era naturalmente precedente alla realizzazione in Arena. L’avevo pensata
molto tempo prima: se un giorno farò “Traviata” la farò in teatro e non
all’aperto. Comunque me la sono portata dietro. Una volta in Arena, di
fronte a quegli spazi, l’idea originale si è venuta precisando sino a
vedere la vicenda come tragedia facendo di Violetta un’eroina da
tragedia più che la protagonista di un dramma tragico. Partire quindi da
una rappresentazione di “ Traviata “ – magari quella di Visconti – di
stampo ottocentesco per costringere il “personaggio Violetta“ ad uscire
dal teatro per vivere il suo eroismo d’amore. Quindi usciva dal teatro,
scendeva lungo la scala, ed entrava di colpo nella vita.
Diventava quindi una figura reale, un personaggio vero col suo dramma.
Mi accorsi che non ci volevano molti elementi anche nelle scene più
animate come il brindisi, oppure la scena del gioco delle carte: bastava
niente perché è tutto segnato dalla realtà.
D.: Il gioco scenico è segnato dal ritmo del colore della musica?
Bolognini : Esatto. Dal momento in cui arriva Alfredo e la sorprendeva
davanti allo specchio a guardare Violetta usciva dal teatro e cominciava
a vivere la sua storia d’amore, il suo eroismo.
Da quel momento diventava protagonista sola. E così restava come sola
con se stessa, con la sua memoria, sino alla fine quando, per morire,
ritornava in teatro. Ricordo che una scena che funzionava abbastanza era
quella dell’ultimo atto: quel carnevale pazzo, quei fantasmi che
apparivano nei palchi per poi sparire improvvisamente quasi come un
incubo. E poi lei che con “L’io ritorno a vivere” ritornava alla sua
storia d’amore per morire sul palcoscenico, a sancire il suo ritorno al
teatro.
D. : Quando ha pensato a questa sua idea di “Traviata” ne avrà parlato
con la Scotto. Quale fu la sua reazione oppure il suo tipo di adesione?
Bolognini : Sì. Ne parlammo e Renata accolse con entusiasmo la mia idea.
Poi i vari momenti vennero precisandosi durante le prove. Vede: io non
credo che le idee vengono complete. Viene un’idea, un segno,
un’intuizione poi attraverso il lavoro si matura. Il rapporto di lavoro,
chiaro? Attraverso il rapporto nascono le soluzioni. E’ per questo che
ci vorrebbe più lavoro, più tempo perché solo attraverso il lavoro serio
è possibile ottenere validi risultati.
D.: In questo saggio sostengo che la Scotto, nata e qualificata come
soprano lirico –leggero, si portava dentro di sé da sempre, questa
tendenza al dramma.
Bolognini : Esatto. Nel mio rapporto con Renata questa componente
drammatica l’ho sentita moltissimo. Renata è una creatura drammatica
sino all’esasperazione.
D. : Per cui questa evoluzione di repertorio, che tanto ha stupito e
sconcertato i critici, era insita nella sua personalità.
Bolognini : Sì, verissimo. Renata è una vera e propria attrice
drammatica. Ed è questo che mi è piaciuto moltissimo. Ricordo che nella
“Straniera”, che è il primo rapporto che ho avuto con lei, mi accorsi di
questo suo desiderio travolgente di essere e manifestarsi drammatica: un
desiderio estremo, quasi metodico. C’era questa volontà di ricerca, di
approfondimento del personaggio proprio in chiave drammatica. E credo
che questo avvenga anche quando fa opere meno drammatiche .
Nella discussione si è inserito il marito della cantante, il prof.
Anselmi, il quale ha precisato una cosa importante: Mauro Bolognini ha
rappresentato una svolta nella carriera artistica di Renata Scotto.
Mauro Bolognini è stato il primo regista vero con il quale ha lavorato
l’artista in senso autenticamente drammatico.
E’ vero che prima aveva lavorato con Renato Castellani per “Capuleti” e
Giorgio De Lullo in “Lucia”. Con Bolognini e, in particolare affrontando
“La Straniera“, Renata Scotto veniva scoprendo interamente le sue carte
di cantante drammatica e Bolognini seppe capire e interpretare il
significato artistico di questa svolta, lui che è sempre stato autore di
regie autenticamente drammatiche nel loro realismo poetico. Infatti il
secondo atto di “Straniera” presenta punti di drammaticità che erano
insoliti per Renata Scotto. In fondo De Lullo ebbe il compito facilitato
dal fatto che, musicalmente, “Lucia “ apparteneva già vocalmente a
Renata Scotto; si trattò solo di precisarne il personaggio nel quadro di
una determinata lettura teatrale.
In “Straniera” Bolognini operò su una Scotto “vergine”,
disponibile,intuitivamente disponibile. Il risultato fu una perfetta
comunione di idee, di intenzioni che si realizzarono in uno spettacolo
sublime ed unico.
Bolognini : “Straniera” è stata una vera e propria creazione: questo è
impartante sottolineare. Devo dire che attorno a quest’opera si era
creata quell’atmosfera che è possibile registrare ogniqualvolta si mette
in scena, ad esempio,” Lucia“ o “Rigoletto”. Tirar fuori un’opera così
si corre sempre il pericolo dell’incognita. Mancava ogni punto di
riferimento. Penso che Renata si ritenesse come quell’alpinista che
affronta la scalata di un pendio particolarmente scosceso per la prima
volta. Per lei fu un vero e proprio debutto. Per lei,oltre che per me.
C’era molto scetticismo. Lei, in fondo, era sola. “Straniera" fu
importante proprio perché la creammo dal nulla quasi misteriosamente
sino a prenderci tutti in un’ansia di sapere, di conoscere. E solo lo
spettacolo, con la sua verifica, ci ha ripagato degli sforzi e dei
dubbi. Devo dire che la volontà e la coscienza che aveva Renata nel
credere nell’opera era davvero stupefacente. Solo lei aveva la
sensazione più completa della validità e della vitalità dell’opera. Il
personalmente non avevo la sua sicurezza. Sentivo l’opera volta per
volta, scena dopo scena, frase musicale dopo frase musicale. E stato una
specie di miracolo vissuto istante per istante.
E qui il discorso si sposta, stranamente, su “Butterfly “ :
Bolognini: “ L’ultima volta che ho visto ed ascoltato Renata è stato
all’Opera di Roma in “Butterfly “. E’ un’opera che non amo molto, sono
sincero. Amo Puccini, amo Tosca, Manon, ma non Butterfly. Renata me l’ha
rivelata perché lei ha seguito il dramma nella musica. In “Butterfly”,
per Renata, non é questione di Regia. La regia è già nelle note e lei,
da grande musicista, sa cogliere la giusta chiave drammatica portandoti
sino all’esaltazione. Renata quindi si è trovata tutto dentro, non ha
dovuto andare a cercare fiochi altrove. Renata comunica tutto. La
Butterfly è una predestinata, già dal primo atto, dal suo modo di
presentarsi si avverte questo senso drammatico, questo avvio alla
catarsi”.
|
|
|